MADRE TIERRA
NEL VIAGGIO, UN RITORNO A CASA
-Non c’è nulla che la natura non possa guarire.
-Natura curandera. È così che la chiamate voi sud americani, vero?
-Si, perchè può aggiustare tutto ciò che si rompe, che sia l’anima o il corpo. Come una madre.
-Ah, la Madre Tierra.
-Appoggia le mani qui.
-Ok.
-Bene, ora ascolta.
Danilo appoggia le mani su una grossa pietra, un macigno maestoso nel mezzo della foresta della Sierra Nevada di Santa Marta, nell’estremo nord delle Ande della Colombia. Le unghie delle mani sono quelle di un meccanico, ma invece di olio di motore, tra le unghie, ci sono residui di terra. Per le popolazioni indigene, che abitano in queste terre, le pietre sono vive, hanno solo un ritmo più lento del nostro.
È luglio. L’umidità sale dal suolo e la pioggia si prepara a scendere da grossi nuvoloni color corvo.
Il suolo sarà a breve ancor più fertile e le piante, alte e fitte, ancor più verdi.
Il suolo sarà a breve ancor più fertile e le piante, alte e fitte, ancor più verdi.
Danilo è di mezza statura, cinquant’anni, venezuelano, di buona indole. Indossa un cappello ampio, piccoli occhiali da vista con lenti ambrate, un paio di jeans consunti e stivali di gomma ricoperti di fango. Ha iniziato ad amare la terra a diciassette anni, ai trenta ne è diventato un cultore, ai cinquanta un maestro. Gira per il Sud America per trasferire il suo sapere alle comunità che lo ospitano. Insegna come si semina e come si raccoglie. Lo fa con calma, usando un tono di voce piatto e fermo come un tronco di banano. Conosce con profondità e precisione i tempi delle sementi, le loro combinazioni, i pericoli e i segreti che vengono dal suolo e dalle nubi. Riconosce l’arrivo di un acquazzone dal movimento delle formiche e la fertilità di un terreno dal suo odore. Ha un vecchio telefono, che usa solo quando scende in città per chiamare i figli e la sorella. Si alza con l’alzarsi del sole, e s’addormenta, sotto il tetto di una cabaña di legno, quando si accendono le lucciole. Il suo rapporto con la natura è così intimo che la sua solitudine pare più una libertà che una seccatura.
M’assale, tenendo le mani appoggiate sulla grossa pietra vicino alle sue, un sentimento di nostalgia della natura, come se stessi all’improvviso ricordando qualcosa che un tempo avevo appreso ma poi dimenticato.
-Hai sentito?
-Credo di sì.
-Bene, ora non dimenticarlo più.
-Credo di sì.
-Bene, ora non dimenticarlo più.
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Noi ci siamo lasciati ispirare da
Il vecchio che leggeva romanzi d’amore
di Luis Sepúlveda
Al vecchio Antonio José Bolivar non rimane molto, ma nella sua mente, nel suo corpo e nel suo cuore è custodito un tesoro, nato dall’aver vissuto dentro la grande foresta color smeraldo: una sapienza speciale, in accordo con i ritmi e i segreti della natura.
Come potevamo non farci ispirare da questo bellissimo racconto, per l’articolo di luglio?
Come potevamo non farci ispirare da questo bellissimo racconto, per l’articolo di luglio?
La scrittrice
MARTA BENINI
Nasco in Italia, a Verona, nel 1987. Dopo una laurea in Giurisprudenza mi occupo, da diversi anni, di diritti umani e di cooperazione internazionale. Nel marzo 2018 ho deciso di partire per un lungo viaggio nelle Americhe e ho creato il blog Ter-ra dove mi occupo di scrivere i testi.