LA DOLOROSA SCOPERTA
DELLA SESSUALITÀ
Il lato più prodigioso dei libri è che spesso ci mettono davanti a delle esperienze significative.
-Esperienze che mai avremmo potuto fare, esperienze in cui potremmo incorrere, o esperienze più reali e quotidiane.
Quelle del libro di questo mese appartengono al terzo tipo, attraverso la narrazione di un vissuto universale che nessuno mai ci ha spiegato fino in fondo. Lo ha fatto per noi Alberto Moravia con un romanzo che tutti gli adulti dovrebbero leggere.
In Agostino Moravia racconta di un’esperienza che tutti abbiamo fatto, vissuta nel romanzo da un ragazzino durante le vacanze estive. Agostino vive un momento specifico della sua esistenza, trovandosi in un’età critica tra l’infanzia e l’adolescenza. In tale momento si inserisce il processo di scoperta del proprio corpo e del proprio sesso, percepiti come motivo di sofferenza. Il ragazzo non riesce dunque a mediare tra la propria lingua materna e il linguaggio dei grandi: pertanto, avrebbe detto Wittgenstein, il suo mondo è ancora limitato dai limiti del suo linguaggio. Ma ciò che è più interessante notare è come in questa fase i limiti dell’infanzia vengano sempre più tesi, fino a rompersi e ad aprirsi a ciò che sta fuori.
La drammatica scoperta del fuori avviene a partire da un dentro che cambia. Ma non è ancora una questione adolescenziale, non riguarda il primo amore: il sesso, il proprio corpo sessuato, viene percepito molto prima, quando non siamo ancora adolescenti, ma nemmeno più bambini. Agostino è in vacanza, guarda il corpo della madre e il suo, tagliato fuori da un tutto che lo aveva formato. Non è un caso che la parola sesso derivi dalla radice latina sec- del verbo secare (tagliare, separare, in senso più lato, distinguere): la scoperta della sessualità, nel ragazzino, avviene attraverso una sensazione di estraneità nei confronti dell’Altro.
Agostino si sente quindi separato, distinto, da un mondo circostante che detta regole, dei modi di stare avvertiti come estranei, perché ancora non possiede il corpo e il linguaggio necessari per interiorizzarli:
In quel giorno gli erano stati aperti
per forza gli occhi;
ma quello che aveva appreso era troppo più
di quanto potesse sopportare
per forza gli occhi;
ma quello che aveva appreso era troppo più
di quanto potesse sopportare
A. Moravia, Agostino, Giunti Editore, Firenze 2017, p. 129
Tuttavia il protagonista non rimane paralizzato da questa condizione di patimento: ciò di cui fa esperienza è sì motivo di sofferenza, ma questa è accompagnata da un intenso movimento di ricerca. Agostino parla poco, si nasconde dagli adulti, li spia, ma perché vuole capire il mondo, vuole sapere: trovandosi ad affrontare delle situazioni mai affrontate prima, Agostino osserva gli altri, le loro parole e i loro gesti, per poter imparare ad agire. Questo desiderio di conoscenza si articola dunque lungo un movimento intensivo, apparentemente silenzioso, che caratterizza l’intero racconto.
Per quanto lontana possa ormai sembrarci l’esperienza di Agostino, è un’esperienza che continuiamo a fare: la nostra è una continua negoziazione con il mondo e le sue strutture significanti. Tale mediazione risponde a quel bisogno di comunicazione che ci contraddistingue in quanto esseri umani,
perciò il rispetto di un certo codice comunicativo non è cieca obbedienza a delle regole estranee alla propria persona, ma una sorta di rispetto e di cura verso la nostra relazione con l’altro. Per questo motivo, quando viene a mancare la continuità di segno, ci si perde. È anche il caso di Mattis, “lo scemo del villaggio” de Gli uccelli di Tarjei Vesaas, che per quanto sia adulto, non riesce a capire e ad essere capito. Così Mattis, dopo aver comunicato con un uccello, riflette circa la possibilità di portare questa lingua dei volatili alla sorella:
perciò il rispetto di un certo codice comunicativo non è cieca obbedienza a delle regole estranee alla propria persona, ma una sorta di rispetto e di cura verso la nostra relazione con l’altro. Per questo motivo, quando viene a mancare la continuità di segno, ci si perde. È anche il caso di Mattis, “lo scemo del villaggio” de Gli uccelli di Tarjei Vesaas, che per quanto sia adulto, non riesce a capire e ad essere capito. Così Mattis, dopo aver comunicato con un uccello, riflette circa la possibilità di portare questa lingua dei volatili alla sorella:
Gli sarebbe piaciuto usare la lingua degli uccelli: andare a casa da Hege e parlare solo così. Forse allora lei avrebbe cominciato a capire qualcosa di ciò che le rimaneva sempre così incomprensibile. Ma non osava, sapeva già come sarebbe andata a finire. Mi rinchiuderebbero. Della più bella di tutte le lingue non ne avrebbero neanche voluto saperne, anzi, l’avrebbero disprezzata.
T. Vesaas, Gli uccelli, Iperborea, Milano 1990, p. 91
Emerge quindi una certa somiglianza tra lo sforzo interpretativo di Agostino e la frustrazione di Mattis: in entrambi vi è un bisogno di comunicazione che non sta all’ordine del mondo degli adulti. Il lettore non può non amare la loro continua incomprensione del mondo, poiché qualcosa di loro in un certo senso lo riguarda.
C’è sempre un’innocenza nel non venire capiti che ci riporta ad una sofferenza sì linguistica, ma soprattutto corporea: il nostro corpo è solo, inerme, mentre gli altri sono fuori e attaccano. Questi momenti di incomprensione sono forse quelli in cui più emerge la natura secata del nostro sé, in cui i limiti del nostro linguaggio condannano il nostro corpo ad un raccoglimento doloroso. Ma il recupero di uno stesso linguaggio non può che avvenire uscendo dal proprio isolamento, attraverso l’apertura di una relazione con l’esterno. Lo stesso esterno verso cui guarda Agostino, uscendo allo scoperto.
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Noi ci siamo lasciati ispirare da
Agostino
di Alberto Moravia
Estate, vacanze estive al mare. Un momento dove scoprire e scoprirsi, in maniera alle volte dolorosa. È questo che accade ad Agostino, che in un’estate scopre la sessualità e si trasforma, da ragazzo a uomo.
Estate come leggerezza e spensieratezza, ma anche come trasformazione improvvisa e dolorosa.
Estate come leggerezza e spensieratezza, ma anche come trasformazione improvvisa e dolorosa.