LA MORTE
NON È NULLA
“Lo sapevi anche prima che la gente muore, in un angolino nel retro della testa. Lo sapevi da sempre. Farne una tua priorità solo ora è una cosa penosamente egocentrica.”
Qui, sotto le radici
Il silenzio investì Nicolò come una secchiata d’acqua gelata. A pochi metri alle loro spalle la cacofonia della città era ancora là, ma sembrava non
osare entrare, tenuta fuori da un invisibile campo di forza.
-Forse erano meglio le rose.
La lunga figura femminile camminava davanti a lui senza un cenno, avvolta da un mistico raccoglimento, come in preghiera. L’unica vita pareva
essere quella dello straripante mazzo di gialli e rossi e bianchi che sbucavano dalla figura.
-Un fiore cliché, lo so. Ma anche lui d’altro canto era un uomo cliché.
I piedi sulla ghiaia nel vuoto del silenzio erano come vecchie macine. Da qualche parte una lucertola spaventata dall’improvviso rumore scavava in
un’aiuola per trovare rifugio.
-E poi saremmo dovuti venire di sera, verso il tramonto: la luce sarebbe stata migliore.
Un lungo sospiro confermò a Nicolò che almeno qualcuno era in ascolto. E come un bambino dispettoso si sentì solo più legittimato a tormentare
la sua vittima, a produrre una reazione più importante.
-No, dico sul serio. Guarda che scenografia perfetta: gli alberi in fila ordinata, il bianco dei marmi, i colori dei fiori. Al tramonto avrebbe reso tutta
la sua teatrale bellezza.
Con un ampio gesto, come lo scorrere di un’inquadratura, fece per indicare il set di quella conversazione. Ma quella sensazione di spaesamento
tornò ancora, per zittirlo. Sotto il sole i marmi colorati erano un tetro mosaico. Le colonne simmetriche chiudevano gli occhi al cielo. Tutto era
negli occhi pieno e vuoto allo stesso tempo.
-Certo che anche tu non aiuti con la tua scelta d’abito. Questa tua recente ossessione per il blu elettrico mi rovina tutta la palette di colori.
Nonostante la provocazione, ancora neanche un cenno.
-Che poi che razza di colore è il blu elettrico in questa stagione? È completamente antiestetico.
Un piccione scrolla le ali. A pochi centimetri da loro un’ape ronza fino a posarsi delusa su un mazzo di polverosi fiori finti.
Tutto è silenzio e rumore.
osare entrare, tenuta fuori da un invisibile campo di forza.
-Forse erano meglio le rose.
La lunga figura femminile camminava davanti a lui senza un cenno, avvolta da un mistico raccoglimento, come in preghiera. L’unica vita pareva
essere quella dello straripante mazzo di gialli e rossi e bianchi che sbucavano dalla figura.
-Un fiore cliché, lo so. Ma anche lui d’altro canto era un uomo cliché.
I piedi sulla ghiaia nel vuoto del silenzio erano come vecchie macine. Da qualche parte una lucertola spaventata dall’improvviso rumore scavava in
un’aiuola per trovare rifugio.
-E poi saremmo dovuti venire di sera, verso il tramonto: la luce sarebbe stata migliore.
Un lungo sospiro confermò a Nicolò che almeno qualcuno era in ascolto. E come un bambino dispettoso si sentì solo più legittimato a tormentare
la sua vittima, a produrre una reazione più importante.
-No, dico sul serio. Guarda che scenografia perfetta: gli alberi in fila ordinata, il bianco dei marmi, i colori dei fiori. Al tramonto avrebbe reso tutta
la sua teatrale bellezza.
Con un ampio gesto, come lo scorrere di un’inquadratura, fece per indicare il set di quella conversazione. Ma quella sensazione di spaesamento
tornò ancora, per zittirlo. Sotto il sole i marmi colorati erano un tetro mosaico. Le colonne simmetriche chiudevano gli occhi al cielo. Tutto era
negli occhi pieno e vuoto allo stesso tempo.
-Certo che anche tu non aiuti con la tua scelta d’abito. Questa tua recente ossessione per il blu elettrico mi rovina tutta la palette di colori.
Nonostante la provocazione, ancora neanche un cenno.
-Che poi che razza di colore è il blu elettrico in questa stagione? È completamente antiestetico.
Un piccione scrolla le ali. A pochi centimetri da loro un’ape ronza fino a posarsi delusa su un mazzo di polverosi fiori finti.
Tutto è silenzio e rumore.
per passare al cambiamento chimico
-Non dico che avresti dovuto velarti di nero: come società abbiamo smesso di fare certe sceneggiate. Ma almeno un color vinaccia o un marrone
terra. Qualcosa che sia cupo ma non deprimente. Così vogliamo presentarci: cupi ma non deprimenti.
-Nico, puoi tacere per favore?
La voce ferma della sorella tagliò l’aria come un coltello. Nicolò gioì tra sé per la sua piccola infantile vittoria.
-E poi anche volendo qui chiudono tutto alle 18.00
-Beh, è un peccato, non credi? Immagina questo posto di notte.
Avvolto nella buia immagine che lui stesso aveva creato, Nicolò estrasse dalla tasca il suo placebo.
-Vuoi?
Fece alla sorella, indicando il pacchetto di sigarette.
-Ho smesso.
La risata di Nicolò viaggio lungo i metri vuoti d’aria e rimbalzò sulle colonne, rimase intrappolata negli stretti cunicoli.
-E da quando scusa?
-Recentemente. E poi non puoi fumare qui.
-Sorella, che cosa cliché. Non dirmi che ti è preso sul serio la paura della morte adesso? Cos’è? Ti metterai a mangiare solo insalata e a fare
palestra? Durerai un paio di mesi, giusto il tempo in cui ti alleggerà intorno il pensiero cosciente dell’inevitabile.
Al lato del sentiero tre nomi stavano scritti in fila. Le date raccontavano una storia di lunghi lutti e scomparse premature, di quotidianità familiare
distrutte per sempre. Nicolò scacciò anche questo pensiero e costrinse gli occhi a tornare sulla strada.
-Lo sapevi anche prima che la gente muore, in un angolino nel retro della testa. Lo sapevi da sempre. Farne una tua priorità solo ora è una cosa
penosamente egocentrica.
-Nico, basta con la filosofia da quattro soldi: voglio stare in silenzio.
I piedi impastavano la ghiaia. Il piccione aveva incontrato un suo simile con cui dialogare. L’ape ronzava su un altro fiore in cerca di miglior
fortuna.
terra. Qualcosa che sia cupo ma non deprimente. Così vogliamo presentarci: cupi ma non deprimenti.
-Nico, puoi tacere per favore?
La voce ferma della sorella tagliò l’aria come un coltello. Nicolò gioì tra sé per la sua piccola infantile vittoria.
-E poi anche volendo qui chiudono tutto alle 18.00
-Beh, è un peccato, non credi? Immagina questo posto di notte.
Avvolto nella buia immagine che lui stesso aveva creato, Nicolò estrasse dalla tasca il suo placebo.
-Vuoi?
Fece alla sorella, indicando il pacchetto di sigarette.
-Ho smesso.
La risata di Nicolò viaggio lungo i metri vuoti d’aria e rimbalzò sulle colonne, rimase intrappolata negli stretti cunicoli.
-E da quando scusa?
-Recentemente. E poi non puoi fumare qui.
-Sorella, che cosa cliché. Non dirmi che ti è preso sul serio la paura della morte adesso? Cos’è? Ti metterai a mangiare solo insalata e a fare
palestra? Durerai un paio di mesi, giusto il tempo in cui ti alleggerà intorno il pensiero cosciente dell’inevitabile.
Al lato del sentiero tre nomi stavano scritti in fila. Le date raccontavano una storia di lunghi lutti e scomparse premature, di quotidianità familiare
distrutte per sempre. Nicolò scacciò anche questo pensiero e costrinse gli occhi a tornare sulla strada.
-Lo sapevi anche prima che la gente muore, in un angolino nel retro della testa. Lo sapevi da sempre. Farne una tua priorità solo ora è una cosa
penosamente egocentrica.
-Nico, basta con la filosofia da quattro soldi: voglio stare in silenzio.
I piedi impastavano la ghiaia. Il piccione aveva incontrato un suo simile con cui dialogare. L’ape ronzava su un altro fiore in cerca di miglior
fortuna.
nel terreno
-Che poi è stupido che non si possa fumare qui: a chi dovremmo far male.
Commentò sottovoce, la sigaretta spenta stretta tra le labbra come un ciuccio.
-Guarda questo. Aveva la tua età: secondo te fumava?
-Sei un cretino.
-Comunque quanto manca? Sei sicura che sia da questa parte?
-Sì, sono sicura. Manca poco.
-Se non sei sicura possiamo chiedere, eh. Non c’è vergogna nel dimenticare, può capitare a tutti.
-Questa cosa non la posso dimenticare.
Nicolò si rigirò quelle parole nella testa come il sorso di una medicina che non si vuole inghiottire.
-Sai, è buffo: la memoria è proprio bastarda. È giorni che non faccio altro che ricordare cose che non sapevo fossero mai avvenute. Fino alla scorsa
settimana non riuscivo a tenere a mente neanche di fargli una telefonata e adesso è l’unico pensiero che sembro in grado di formulare.
-Forse è il tuo senso di colpa.
-Forse.
Un garofano appassito sedeva piegato nel suo vaso. L’ape ci volò sopra disinteressata e proseguì, seguendo la carovana dei due fratelli.
-Ti ricordi le figurine Panini?
-Una per una?
-No, scema. Intendo, ti ricordi quando la sera tornava a casa e ci portava le figurine Panini?
-Certo. Io le usavo a scuola per comprare le merende degli altri bambini.
-Sai quando è tornato in mente a me?
-Quando?
-In ospedale, l’ultimo giorno. E ho sorriso. Mi sono sentito così stupido. Ero in terapia intensiva, uno dei luoghi dove non esiste la gioia,
circondato da quelle facce lunghe e io stavo là a sorridere come un idiota. Per le figurine Panini.
Nicolò osservo compiaciuto le spalle della sorella scosse da un leggero riso, la mano portata alla bocca per mascherare l’atto completamente
inappropriato.
-Credi che lo sapesse?
-Sapesse cosa?
-Credi che avesse previsto che un giorno sarei stato in un luogo deprimente e avrei avuto bisogno di sorridere?
-Vuoi sentire una cosa cinica invece?
-Sempre.
-Se della morte si è consapevoli in ogni momento, credi che ci stesse pensando anche mentre ci comprava le figurine?
-In che senso?
-Voglio dire, forse voleva che tu avessi qualcosa da ricordare. Forse tutto quello che facciamo per gli altri non è frutto di altruismo o affetto ma
della paura di essere dimenticati.
Il ronzio era scomparso. Nicolò si voltò indietro sperando di trovare la bestiola finalmente soddisfatta, a bearsi tra margherite e campanelle. Ma
nel mare di colori confusi era diventato impossibile distinguerla.
-Il blu elettrico ti rende fredda, lo sai?
-Cupa ma non deprimente: è quello il sentimento, giusto?
Commentò sottovoce, la sigaretta spenta stretta tra le labbra come un ciuccio.
-Guarda questo. Aveva la tua età: secondo te fumava?
-Sei un cretino.
-Comunque quanto manca? Sei sicura che sia da questa parte?
-Sì, sono sicura. Manca poco.
-Se non sei sicura possiamo chiedere, eh. Non c’è vergogna nel dimenticare, può capitare a tutti.
-Questa cosa non la posso dimenticare.
Nicolò si rigirò quelle parole nella testa come il sorso di una medicina che non si vuole inghiottire.
-Sai, è buffo: la memoria è proprio bastarda. È giorni che non faccio altro che ricordare cose che non sapevo fossero mai avvenute. Fino alla scorsa
settimana non riuscivo a tenere a mente neanche di fargli una telefonata e adesso è l’unico pensiero che sembro in grado di formulare.
-Forse è il tuo senso di colpa.
-Forse.
Un garofano appassito sedeva piegato nel suo vaso. L’ape ci volò sopra disinteressata e proseguì, seguendo la carovana dei due fratelli.
-Ti ricordi le figurine Panini?
-Una per una?
-No, scema. Intendo, ti ricordi quando la sera tornava a casa e ci portava le figurine Panini?
-Certo. Io le usavo a scuola per comprare le merende degli altri bambini.
-Sai quando è tornato in mente a me?
-Quando?
-In ospedale, l’ultimo giorno. E ho sorriso. Mi sono sentito così stupido. Ero in terapia intensiva, uno dei luoghi dove non esiste la gioia,
circondato da quelle facce lunghe e io stavo là a sorridere come un idiota. Per le figurine Panini.
Nicolò osservo compiaciuto le spalle della sorella scosse da un leggero riso, la mano portata alla bocca per mascherare l’atto completamente
inappropriato.
-Credi che lo sapesse?
-Sapesse cosa?
-Credi che avesse previsto che un giorno sarei stato in un luogo deprimente e avrei avuto bisogno di sorridere?
-Vuoi sentire una cosa cinica invece?
-Sempre.
-Se della morte si è consapevoli in ogni momento, credi che ci stesse pensando anche mentre ci comprava le figurine?
-In che senso?
-Voglio dire, forse voleva che tu avessi qualcosa da ricordare. Forse tutto quello che facciamo per gli altri non è frutto di altruismo o affetto ma
della paura di essere dimenticati.
Il ronzio era scomparso. Nicolò si voltò indietro sperando di trovare la bestiola finalmente soddisfatta, a bearsi tra margherite e campanelle. Ma
nel mare di colori confusi era diventato impossibile distinguerla.
-Il blu elettrico ti rende fredda, lo sai?
-Cupa ma non deprimente: è quello il sentimento, giusto?
Nella carne dell'albero
I passi si fermarono all’unisono. Nome e cognome erano stati scritti su un quadrato di grigio cemento.
Ci sarebbero voluti ancora due mesi per la targa.
-Possiamo stare in silenzio adesso se vuoi.
-Ti concedo un’ultima battuta.
Nicolò alzò gli occhi per notare a qualche metro di distanza un cartello dove due omini su sfondo blu indicavano la direzione del bagno. Fu come
lo spezzarsi di un’illusione, come un mago che mostra la con il trucco, come vedere lo sfondo dipinto di un set cinematografico. E il silenzio
diventò finto. Come quel senso di soggezione, fabbricato dalla mano umana che aveva disegnato le imponenti colonne, messo in fila i cipressi,
costruito l’aurea austera intorno a quella collezione di nomi. Tutto divenne parte di una più grande rappresentazione. Per razionalizzare, per non
dimenticare. Perché l’immagine mi toglie il peso di questa parola immensa. Come i soldati nelle poesie di guerra sono foglie rinsecchite che cadono
dagli alberi.
-Morire in autunno, papà: è la cosa più cliché di tutte.
Ci sarebbero voluti ancora due mesi per la targa.
-Possiamo stare in silenzio adesso se vuoi.
-Ti concedo un’ultima battuta.
Nicolò alzò gli occhi per notare a qualche metro di distanza un cartello dove due omini su sfondo blu indicavano la direzione del bagno. Fu come
lo spezzarsi di un’illusione, come un mago che mostra la con il trucco, come vedere lo sfondo dipinto di un set cinematografico. E il silenzio
diventò finto. Come quel senso di soggezione, fabbricato dalla mano umana che aveva disegnato le imponenti colonne, messo in fila i cipressi,
costruito l’aurea austera intorno a quella collezione di nomi. Tutto divenne parte di una più grande rappresentazione. Per razionalizzare, per non
dimenticare. Perché l’immagine mi toglie il peso di questa parola immensa. Come i soldati nelle poesie di guerra sono foglie rinsecchite che cadono
dagli alberi.
-Morire in autunno, papà: è la cosa più cliché di tutte.
VUOI APPROFONDIRE IL TEMA TRATTATO?
Noi ci siamo lasciati ispirare da
Antologia di Spoon River
di Edgar Lee Masters
Nell’atmosfera autunnale della natura che muore, la passeggiata in un cimitero può svelare con ironia le storie dei suoi ospiti.
Con rassegnata delicatezza, facciamo i conti con la morte.
Con rassegnata delicatezza, facciamo i conti con la morte.
La scrittrice
ANNA GARIUOLO
Nata a Reggio Calabria nel 1997, durante l’infanzia si trasferisce a Trieste dove tuttora vive. Cresciuta in una famiglia nerd, è da sempre appassionata di scrittura e narrativa. Spera un giorno di poter sfruttare la sua abilità di citare Cyrano a memoria. Guarda troppa tv. Nel tempo libero studia scienze dell’educazione.
L'artista
CARLOTTA MORSELLI
Ho 24 anni e vivo a Verona. Mi sono laureata in fotografia all’Accademia di Belle Arti (L.A.B.A) di Brescia, sono entrata a piccoli passi nel mondo dell’arte contemporanea come artista freelance. Sono poi entrata in contatto con realtà artistiche che mi hanno permesso di curare con più maturità i miei progetti e di sviluppare un grande interesse per la curateli e l’insegnamento artistico.